Consapevolezza: qual è il suo significato?

Il significato della consapevolezza?

Nel nostro essere non tutto è evidente come alcuni possono credere, molto di ciò che avviene nella nostra mente, nel nostro modo di pensare e di comportarci è a livello inconscio. Ciò significa che non siamo noi, in maniere vigile e responsabile, a determinare tutte le scelte che facciamo. Il significato della consapevolezza è anche capire cosa ci succede.

 

Forse questo a qualcuno risulterà un po difficile da comprendere, ma per chi studia la mente, mi riferisco ad uno psicologo o psichiatra, non lo è. Recenti scoperte in campo medico sono andate addirittura oltre.
La ricerca ha permesso di stabilire che molte delle nostre decisioni in realtà non le prendiamo noi direttamente, ma una sistema “pilota”, presente nel nostro corpo, decide prima che noi ne possiamo esserne al corrente. Si tratta di tempi molto veloci, dell’ordine di un decimo di secondo, ma di fatto è proprio così.
Facciamo un esempio che renderà più chiaro questo concetto:
Siete in prossimità di un semaforo, scatta l’arancione e poi il rosso, per cui decidete di frenare. Bene, fino a qui tutto normale, secondo la logica avete visto il rosso e in seguito avete comunicato il segnale al vostro piede di premere il freno. Il problema è che sperimentalmente si è verificato che non è così. Guidiamo per molte ore nella nostra vita, quindi è un’azione che ripetiamo spesso, quasi in maniera automatica, potreste pensare. Sappiate che pensate proprio bene! Siamo talmente abituati a farlo che non pensiamo alle manovre che compiamo: cambia la marcia, premi la frizione, vedi il cartello, dai la precedenza, metti la freccia, ecc. Quindi molto di quello che facciamo in maniera “automatica”, lo facciamo proprio come dei robot. E questo lo si è potuto stabilire scientificamente.
Vediamo come: torniamo al piede che frena. Attraverso sensori applicati opportunamente per verificare le zone del cervello che si attivano in questa attività, è stato possibile stabilire che l’ordine di attivazione dei segnali biochimici non è quello che ci si aspettava. Prima si attiva la zona del cervello che manda l’impulso al freno di frenare, poi arriva quello del sistema visivo che mette il cervello al corrente che il semaforo è rosso. E questo esperimento è stato ripetuto per molte altre attività.
La conclusione è che in realtà molto spesso non prendiamo vere e proprie decisioni “consapevoli”, ma giustifichiamo piuttosto qualcosa che ci è stato imposto dal nostro “pilota interno”. In altre parole diciamo che abbiamo premuto il freno perché abbiamo visto il rosso, ma prima ancora di vederlo avevamo già deciso di frenare, quindi qualcosa ci ha baipassati decidendo prima di noi. Com’è possibile che avvenga ciò, vi starete chiedendo. Ebbene non è così difficile la spiegazione.
Quando ripetiamo un’attività diverse volte, nella mente si crea una specie di binario preferenziale per quel particolare tipo di impulso celebrale. Quindi, prima ancora di esserne coscienti, l’impulso segue lo schema ripetuto in precedenza, ed ecco che si verifica l’azione.

Forse penserete che non c’è nulla di male in tutto ciò, ma non è proprio così. Agire come robot, giustificando le scelte dopo che sono avvenute, può andare bene per guidare l’auto, ma non è efficace in tutte le situazioni della vita, perché non tutto si ripresenta alla stessa maniera. L’ideale è essere molto versatili e riuscire ad adattarsi meglio ai vari casi. Per fare ciò occorre letteralmente “rompere lo schema”. Questo concetto gli yogi lo sapevano anche senza la ricerca scientifica, che in questo caso non fa altro che confermare quello che con l’esperienza millenaria dell’uomo si era già appreso.
Diventare consapevoli significa essere vigili, significa allenare la mente ad essere più veloce del nostro pilota, del nostro inconscio, significa prendere davvero la propria vita in mano e non essere semplicemente un robot, con tutti i suoi limiti.
Prossimamente continuerò a parlare di questo argomento, cercando di fornire piccoli esercizi di meditazione che aiutano l’uomo a crescere e a vivere meglio.
Spero che questo articolo vi sia piaciuto, lasciate pure un commento, oppure chiedete se avete dei dubbi, ci tengo!

La Consapevolezza è un Tesoro

“La consapevolezza è l’unica ricchezza, perché la morte non te la potrà sottrarre” (Osho).

Una frase come questa dovrebbe dare molto coraggio, invece alcune persone pensano che parlare di morte sia in qualche modo sconveniente. Spesso si fanno gesti scaramantici quando si vede un carro funebre, o comunque si cerca di allontanare in qualche modo questo evento vissuto tragicamente dalla maggior parte degli individui. Perché c’è questa paura? Perché questo tabù?
Probabilmente perché abbiamo paura che la morte ci porti via quello che siamo stati capaci di costruire in questa vita.
Quanti sognano di poter diventare celebri, di avere successo? Il successo e la fama, in fondo sono un modo per rimanere in vita anche quando non ci siamo più. Però è tutta un’illusione. Alla fine questo evento accadrà e noi torneremo da dove siamo venuti. Quando ce ne andremo, lasceremo in questo mondo tutto quello che possedevamo. Nessun potere, nessuna ricchezza, prestigio, niente potrà valere più. Tutto è momentaneo.
La consapevolezza è l’unica cosa che la morte non potrà toglierci, perché si può morire con consapevolezza, si può essere coscienti quando arriva questo momento, perché non lo si teme, ma anzi si accetta la chiusura del ciclo di questa vita. E se l’abbiamo vissuta tutta con consapevolezza, allora siamo stati ricchi, siamo stati felici, tutto ha avuto un senso. Il tesoro che dobbiamo coltivare di più è questo.

Alchimia della Consapevolezza

Come sappiamo, nella nostra natura cerebrale esistono schemi mentali e corsie preferenziali per gli impulsi cerebrali, che condizionano le nostre scelte.

Molti di questi schemi di comportamento hanno avuto origine nella nostra infanzia, e sono alla base di molti nostri “capricci” da adulti, per non parlare di problemi più gravi. D’altronde è risaputo che quello che ci succede nei primi anni di vita è d’importanza cruciale per la formazione del nostro comportamento.
Nella mia ricerca spirituale mi sono spesso imbattuto in un concetto interessante su questo tema, un modo di pensare la crescita differente dal modello tradizionale valido per noi occidentali.
Noi crediamo in un individuo come entità separata che nasce, cresce diventando bambino, ragazzo, uomo, anziano e poi muore, quindi un’evoluzione. In oriente si pensa piuttosto a una vita paragonandola metaforicamente a una cipolla, nel senso dell’essere “multistrato”. Funziona così: il neonato porta con sé i segni della nascita, evento molto traumatico, quando diventa bambino, non scompare, ma si fonde rimanendo come traccia nell’inconscio. Il bambino, a sua volta, non scompare diventando ragazzo, ma rimane nell’inconscio anche lui, con tutte le sue esperienze positive e negative, e così via per tutti i vari stadi della crescita. L’individuo è così una somma delle sue esperienze come fossero appunto strati, e scavando è possibile rintracciare ancora il bambino anche nell’uomo adulto.
In definitiva il carattere e il comportamento di una persona sono una specie di equilibrio tra tutte le precedenti esperienze e forme di essere, che non si sono fuse modificandosi, ma che rimangono latenti nell’inconscio, pronte a riemergere se l’equilibrio viene a mancare.
Per acquisire la piena responsabilità della nostra esistenza dobbiamo imparare a non portare con noi il bambino che abbiamo ancora dentro, o meglio, dobbiamo saperlo “accudire” nel modo giusto. Se ci pensate bene, i bambini sono meravigliosi, ma sono pieni di capricci. Vogliono ottenere il massimo con il minore sforzo possibile, non hanno responsabilità, prendono ma non devono dare, altrimenti cominceranno a piangere, a urlare. La possessività nasce proprio in questo periodo, infatti serve per la sopravvivenza, ma quando si cresce diventando adulti si dovrebbe essere in grado di badare a se stessi, non è più necessaria la possessività di un bambino.
Tutte queste caratteristiche dell’infanzia dovrebbero sparire per arrivare a poter provare il vero amore, quello disinteressato. Se il bambino interiore non è stato sorpassato, saremo gelosi, avremo paure, insicurezza. L’amore non fiorirà mai in un terreno così ostile e perciò ci troveremo in un circolo vizioso: proprio perché l’amore non cresce, ne saremo sempre più affamati, e questo porta a possessività e così via.
Sono convinto che questo sia un problema della nostra società. Crediamo di essere cresciuti, ma non lo siamo e nei momenti difficile riemerge il nostro passato e prende il sopravvento. Per cambiare dobbiamo passare da un amore “infantile” a uno “maturo”!
Per smettere di essere possessivi e vivere più serenamente, dobbiamo comprendere che il bambino è ancora presente dentro di noi, dobbiamo riportarlo alla luce della consapevolezza, non lasciarlo operare nascosto nell’inconscio. Se lo vediamo nella sua bruttura potremo dirgli addio.
Possiamo farlo tramite la meditazione. In silenzio osserviamo quel bambino presente in noi, le sue strategie, il modo in cui opera, e l’intero meccanismo che caratterizza questo schema esistenziale di sopravvivenza. Tutto questo senza mai giudicare o condannare, solo osservando semplicemente. Secondo l’esperienza dei grandi maestri esistenziali, è proprio in quest’osservazione che lo schema scomparirà. Vedendo la stupidità di quel modo di essere s’inizia a cambiare.
Questa è chiamata “alchimia della consapevolezza”, e questo è anche il suo significato: come un processo che cambia la chimica del cervello.

Felicità: una nostra responsabilità

Consapevolezza della felicitàForse alcuni pensano che la natura, o Dio se preferite, siano ingiusti. Che la loro vita non è come avrebbero voluto e che succedono cose orrende al mondo che nessun Dio dovrebbe permettere accadano. Questo è un nostro punto di vista, che segue una morale personalizzata, è anche comprensibile, se vogliamo, ma non credo sia corretto. L’esistenza non è ne giusta ne ingiusta, è imparziale, è naturale. Il sole sorge per tutti, buoni e cattivi, santi e peccatori. La pioggia è per tutti, le stagioni non fanno distinzioni. E’ l’uomo che fa distinzioni e causa i suoi dolori. La maggior parte delle malattie sono provocate dall’inquinamento, dallo stress, dall’alimentazione non corretta, dallo sfruttamento, dalla sovrappopolazione, ecc. Le ingiustizie sono causate dall’uomo.
E’ vero che nel mondo ci sono molte sofferenze e infelicità, ma la responsabilità è dell’uomo, non di qualcun altro. Molte persone avrebbero la possibilità di essere felici, di gioire, ma rimangono aggrappate alla loro infelicità, perché per staccarsene dovrebbero rinunciare a qualcosa di molto personale e sicuro: l’ego. Siccome l’infelicità l’abbiamo creata noi, ostinandoci a inseguire qualcosa che non è naturale, alimentando il nostro egoismo e accentuando la divisione dagli altri esseri sulla Terra, siamo molto legati a essa. Non vogliamo perdere ciò che abbiamo creato, anche se spesso è evidente che non ci ha reso felici, ma lasciarlo andare significherebbe ammettere di aver sbagliato, e questo il nostro ego non lo può fare.
Incamminarsi nel Vero, non significa rinunciare a tutto, ai propri averi, al mondo, alle proprie relazioni, non significa rinunciare alla vita. Bisogna solo rinunciare alla propria infelicità. In quel momento si aprono porte che prima erano chiuse, la gioia compare, ci si sente beati ed estatici. Succede perché si è finalmente ritrovato il giusto ruolo nell’Universo che ci compete, che è semplicemente quello di esistere in armonia con la natura. Succede perché una a una cadono le maschere che portavamo, e con esse le sicurezze che ci confortavano.
Trovare la felicità o l’infelicità è una nostra responsabilità, perché lasciando cadere le maschere che ci proteggono, insorge la paura del vuoto, dell’infinito che ci si propone. Sotto il nostro ego si cela il volto della bellezza e del divino splendore, ma non è nostro. Siamo noi che siamo suoi, è di tutti e tutti siamo così. Questa è quella che i maestri chiamano “Coscienza Cosmica”.
Arrivare a danzare assieme all’esistenza, senza starsene seduti in un angolo a guardare, significa assumersi le proprie responsabilità, armarsi di coraggio e lasciare cadere le sicurezze che ci ancorano a questo mondo artificiale che ci siamo costruiti. A quel punto basta un istante di comprensione per innescare un processo che ci rende completamente naturali e veri!
Questo è quello che i maestri chiamano “Illuminazione”.

Vivere come robot

La “meccanicità” dei nostri gesti è una caratteristica messa in luce da molti grandi pensatori del passato. Se la consapevolezza è la via per ridurre drasticamente le nostre ansie e preoccupazioni e vivere con più sicurezza la nostra vita, il modo in cui ci comportiamo quasi da “sonnambuli” in molte delle nostre attività, causa tensioni e infelicità.

Essere “meccanici” significa non spontanei, significa essere ancorati al passato. Infatti quando il cervello funziona solo come un biocomputer, gli si toglie ogni possibilità di improvvisazione e creatività. Per agire così, baipassando la volontà e preferendo schemi di comportamento abituali, è logico che entri in causa solo quello che si è appreso precedentemente. Uno schema già strutturato non può essere contestualizzato alla situazione attuale, odierna, è sicuramente derivato da abitudini “cristallizzate” nella nostra personalità. In questo modo, abbiamo la sensazione di non essere mai adeguati a ciò che accade. E’ un sistema che potrebbe andare bene per un essere non consapevole di esistere, ma per un uomo è una tragedia. Anzi, più l’uomo è consapevole, più è una tragedia!
Le risposte alle situazioni che derivano da questo “standard” del comportamento sono spesso falsità, proprio perché non sono spontanee. E più un individuo è “avanti” nel proprio percorso di consapevolezza, più se ne accorge e questo può causare sensi di colpa e ansie. D’altro canto va detto anche che chi è un po’ più saggio, sa anche che non esistono colpe e che sono cose difficili da superare, ma col giusto approccio si può andare oltre alla “normalità”.
E’ necessario fin d’ora agire sempre con più presenza, a partire dalle piccole cose. Camminando, possiamo cercare di portare la mente su quello che facciamo, e non lasciare che le gambe si muovono mentre noi pensiamo a qualsiasi altra cosa che ci viene in mente. Oppure la sensazione dell’acqua calda che scorre sul corpo durante una doccia, coglierla e concentrarsi su di essa è già meditazione.
La vera meditazione è qualcosa che si fa per tutto il giorno, durante le attività, se ci accorgiamo che la mente vaga e noi stiamo facendo tutt’altro, allora proviamo a riportare le due cose allo stesso piano e concentriamoci sull’azione. Ne riceveremo un grande benessere, questo è un insegnamento dei grandi maestri del passato che credo sia sempre più attuale e importante nella nostra società .

La pietra filosofale

Pietra filosofale della ConsapevolezzaForse avete sentito parlare della pietra filosofale, dalle fantastiche qualità, tra le quali quella di trasformare i metalli in oro e di dare la conoscenza del bene e del male. Esisterà qualcosa del genere?

Magari esiste e ce l’abbiamo anche sotto il naso, anzi direi che il mondo stesso ne è permeato. Per me si tratta dell’amore.
Non crediate che io cerchi di rinnovare qualche vecchio slogan hippie degli anni sessanta, come “Peace and Love”, oppure qualche ideale utopico anche se condivisibile. Non credo molto nella fantasia da favola “fumata” di quegli anni. Parlo invece di qualcosa di più concreto, che potete sperimentare oggi stesso, se lo volete.
Una delle nostre pecche, di parecchi di noi almeno, è di dare tutto per scontato, senza prestare attenzione alle piccole cose di tutti i giorni. Vivere con amore, significa mettere questa qualità anche nei più semplici gesti che compiamo, mettere passione e dedizione nell’azione del momento, anche se sembra una banalità.
Riuscirci è una grossa conquista, perché significa fare sempre il meglio. Significa anche rimanere aperti al mistero della vita, cioè essere sempre alla ricerca della conoscenza senza mai concluderla, perché la vera conoscenza non ha mai fine, proprio come l’amore. Non si esaurisce, rimane sempre come fosse una corrente sotterranea che ci stimola ogni giorno a dare il meglio di noi, una specie di carburante extra.
Mangiando facciamolo con amore, perché in quello di cui ci nutriamo troviamo il divino. Camminiamo con amore, perché la Terra è divina, è sacra. Laviamoci con devozione, rispettiamo il nostro corpo, perché è un tempio, non è nostro è di Dio.
Quando le piccole cose acquisiscono un significato così profondo, non sono più piccole, diventano grandi, e con esse anche la nostra vita diventa grande.


 

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