Da Massimo Donà
un pensiero sulla musica e la filosofia

musica-filosofia-pensiero

La musica è filosofia suprema! Questo è l’insegnamento dell’antica Grecia che ci è arrivato tramite gli scritti di Platone, il quale descriveva la musica come forma estrema di filosofia, perché può esprimere l’inesprimibile. Anche il musicista jazz e filosofo Massimo Donà parla in termini simili riferendosi alla musica.

Riporto di seguito il pensiero di Massimo Donà sulla musica e la filosofia:

«Potremmo dire che si tratta di ambiti solo apparentemente ‘lontani’. D’altro canto, se è vero che la filosofia nasce come musica (si pensi solo alla dottrina pitagorica e all’influenza che essa ebbe sul sistema platonico), è anche vero che ogni argomentazione logica, o meglio ogni ragionamento, funzionano sempre e solamente in relazione alla “risonanza” effettivamente prodotta dal loro immediato significare. Mi spiego: cos’altro è la potenza argomentativa, se non la potenza ascrivibile a connessioni logiche e concettuali che risuonano l’una nell’altra secondo proporzioni e simmetrie perfette, e quindi capaci di incastrarsi secondo mirabili corrispondenze, come se ognuna scaturisse senza soluzione di continuità dalle altre? Insomma, qualsivoglia ragionamento sarà tanto più convincente, quanto più i legami da esso istituiti risulteranno necessari e non sostituibili. Per questo, forse, la filosofia anela, da sempre, a farsi mousiké. Per questo, forse, il demone che invitava Socrate a praticare la ‘musica’, lo invitava invero a fare filosofia, e a risolvere la filosofia in ciò cui essa forse mira da sempre: cioè, a farsi “pura musica”. Liberando il logos medesimo dalla pesantezza del concetto. A farlo vibrare cioè di quel “suono” che, da ultimo, non potrà, neppure esso, sopportare la fissità della scrittura. O anche… la sua inamovibilità; vale a dire, la mortifera articolazione cui lo costringe lo “spazio” della partitura. Ché, per natura, il suono non può ‘stare’. Nessun confine potendo mai costringerlo ad essere quello che è. D’altro canto, proprio nel Ventesimo secolo, e soprattutto grazie alla pratica jazzistica, lo stesso suono avrebbe riguadagnato la propria natura originaria; consegnandosi ad una condizione temporale e costitutivamente in-consistente di cui si sarebbe fatta testimone, in primis, la pratica improvvisativa. Una pratica, cioè, finalmente conforme allo spirito originario della musica e della filosofia che in essa avrebbe voluto-e-dovuto in ogni caso risolversi».

Fonte: Messaggero Veneto

by Wenz
Musicista, Comunicatore

photo credit: alvaro tapia hidalgo via photopin cc


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