Il dolore e la felicità

Il dolore e la felicitàIl tema di oggi mi è stato suggerito da Raffaele Morelli.
Stamattina la mia radiosveglia era puntata su un programma nel quale interveniva il famoso medico psichiatra, e così, casualmente, ho sentito che parlava di sofferenza e di come questa, per lui, fosse una sensazione utile per la crescita dell’uomo.

Naturalmente nessuno desidera soffrire, ma essa fa parte della vita, prima o poi può toccare a tutti passare periodi difficili e provare sconforto. Nessuno ne è indenne. D’altro canto bisogna considerare che il dolore è l’altra faccia della felicità, è il rovescio della medaglia, per cui se vogliamo poter essere gioiosi, dobbiamo accettare anche di essere tristi alcune volte.

La sofferenza rende perciò possibile la felicità, una non potrebbe esistere senza l’altra, le due cose si accompagnano. E’ come la luce e l’oscurità, non possono esistere separatamente, perché l’oscurità è assenza di luce. Se gli occhi di un uomo possono vedere il buio e le tenebre, potete essere sicuri che essi vedranno bene anche la luce, perché questa persona certamente possiede il dono della vista. L’oscurità è un’esperienza connessa alla vista tanto quanto lo è la luce.
Vista in quest’ottica, l’infelicità non è una cosa di cui preoccuparsi troppo, è il segnale che abbiamo la capacità di essere estatici, gioiosi. L’importante è non lasciarsene sopraffare, ma reagire in maniera opportuna ai momenti difficili che ci capitano nella vita. A questo scopo esistono alcune tecniche utilizzate dalla psicologia o anche dallo Yoga e filosofie orientali, che cercano di trasformare il dolore in qualcosa di costruttivo.
Si tratta per lo più di esercizi pratici che permettono all’individuo di trovare un equilibrio con le proprie emozioni ed esperienze, catalizzando quelle negative in favore di quelle positive. Il fondamento di base di queste metodologie è che se c’è la sofferenza c’è anche un motivo, ma spesso non siamo in grado di individuarlo perché siamo troppo coinvolti emotivamente, e allora non riusciamo ad avere una visione obiettiva della nostra situazione. In poche parole travisiamo la realtà e ingigantiamo il problema, o magari riflettiamo in esso qualcosa del periodo passato senza accorgercene.
La felicità, la beatitudine è qualcosa che non deve perdere il contatto con l’esistenza, non è una teoria mistica o filosofica, è pura realtà. E’ qualcosa da esplorare, qualcosa a cui in nostri sforzi dovrebbero tendere, e per arrivarci non c’è che da mettersi con calma a fare esperienza su come trasformare le esperienze negative in motivi di crescita. Se possiamo essere infelici, questa è la prova che possiamo essere anche estatici, non c’è dubbio, si tratta solo di una malattia momentanea.
Un malato sa che può essere anche sano, magari lo è stato in passato e desidera tornare in quella situazione. Solo un cadavere non si può ammalare, ecco perché un uomo malato può tornare sano, perché la malattia è connessa allo stato di salute, una presuppone l’altro.
Il dolore non è da vedere come un feticcio ignobile da tenere a tutti i costi alla larga, ma è da accettare, perché è attraverso esso che arriva la felicità, e soprattutto la crescita dell’individuo.

by WENZ

Per approfondire:
http://www.raffaelemorelli.it/
http://www.riza.it/

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2 commenti

  1. In effetti, anche un periodo di depressione può lasciare qualcosa di positivo, perché è un po’ come morire e risorgere, come riscoprire delle possibilità nuove, delle energie che non si sapeva di possedere. La discesa verso gli inferi però è spesso lunga e penosa, una rivisitazione in negativo della propria vita. Qui un essere umano si trova davvero solo, incapace di comunicare il suo disagio, anche o soprattutto alle persone più vicine, sente che in fondo può solo aiutarsi da solo e perciò, in questo sforzo sovrumano per risalire, se riesce a farcela, ne esce senz’altro con qualcosa di più dentro.
    La Divina Commedia rappresenta bene questo viaggio…

    • Sì, esatto la Divina Commedia è un esempio del viaggio e della crescita. Ma non pensare alla discesa verso gli inferi quando parli di depressione o comunque di un momento difficile. Io credo che si tratta di un momento più o meno lungo necessario per sistemare alcune cose che non vanno. L’importante è saperlo cogliere e sfruttarlo a proprio vantaggio, invece che cullarsi nello stato di vittima. Non si scende e non si sale, si è semplicemente se stessi, ed è la cosa più difficile. Se la depressione continua a lungo è perchè non siamo capaci di essere quello che dovremmo essere e creiamo un conflitto. Magari vogliamo qualcosa che non abbiamo ottenuto, un amore ad esmpio, oppure ci sentiamo inadeguati, ma il problema è che il metro di misura ce lo ha fornito qualcuno che non sa un bel niente di noi, già che ne sappiamo poco noi stessi in partenza. Il metodo migliore per vincere la depressione è lasciarsi andare, morire metaforicamente. Come la fenice che rinasce dalle sue ceneri. Uccidi il vecchio e nasce il nuovo, ecco come la sofferenza ci aiuta.

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