Parlando di musicoterapia, nada yoga e musica curativa in generale, ho spesso cercato di descrivere il pensiero di grandi maestri e filosofi del passato. Cercherò di delineare in quest’articolo la filosofia di Osho sulla musica e la meditazione, anche grazie alle molte storielle metaforiche e spiritose che il maestro amava tramandare ai suoi discepoli.
Non croci ma chitarre!
La positività dell’insegnamento di Osho è certamente contenuta nella metafora della croce, come pena, e della chitarra, come veicolo della gioia della musica. La musica diventa quindi metafora danzante della vita che ci circonda ogni giorno.
Tutt’intorno a noi, qui sulla Terra, c’è un’immensa risata. Tutti ridono, gli alberi, gli uccelli, tutti ad eccezione dell’uomo. La sua tristezza deriva dal voler rimanere troppo aggrappato alle parole, senza concedersi momenti di puro silenzio. Nel silenzio c’è musica, c’è danza, c’è vita, c’è il tempio del divino. Non servono ideologie, serve solo partecipare alla danza universale. Questa è la sola rivoluzione possibile. La nostra stupidità ci fa ascoltare persone il cui scopo è quello di renderci tristi, perché così possono rompere la sintonia con quello che ci circonda. Così possono sfruttarci, renderci schiavi, opprimerci. Senza l’armonia che dovrebbe esserci, si è soli, divisi ed è più difficile ribellarsi. La vera ribellione comincia dalla risata. Iniziamo a ridere dei nostri leader religiosi, sono finti, sono ipocriti. Ridiamo dei politicanti che ci ingannano continuamente. E’ solo una banda di criminali. Il giorno in cui tutti rideremo in faccia a queste persone il loro potere svanirà e noi porteremo chitarre in giro, non le croci che abbiamo adesso. Ogni croce che portiamo dovrebbe essere sostituita da una chitarra! (La chitarra l’ho messa io, in realtà mi pare che nella storia originale si parlava di uno strumento indiano, ma data la mia deformazione professionale penso che la chitarra ci possa stare).
cfr: “Om Mani Padme Hum”, capitolo 22
Il mantra Soham
L’impartanza del silenzio per la meditazione è stata sempre evidenziata da tutti i grandi maestri del passato. Osho ci insegna come in realtà il suono della musica è una nostra percezione che arriva dall’esterno, ma in realtà non esiste così come lo udiamo, perchè si tratta in fondo solo di “sfregamenti molecolari”. Ma se gli elementi esterno non sono sufficienti, ecco che abbiamo il silenzio, la cui comparsa ci proietta immediatamente al nostro interno.
Anche se non arriva niente da fuori, noi siamo comunque lì, quindi potremmo percepire qualcosa al nostro interno, anzi è a maggior ragione in quel momento che lo possiamo fare. Proprio perché non siamo distratti dalle cose esterne, possiamo concentrarci e riuscire a sentire il suono del nostro respiro, il battito del nostro cuore, oppure addirittura il movimento del sangue vicino nelle vene vicino alle orecchie.
Un antico mantra indiano recita Soham, “Io sono quello”. Chi entra davvero dentro di sé con la meditazione percepisce questa sensazione, si riconosce nel divino. E’ inutile ripeterselo mentalmente per convincersene. Accade e basta, quando riesci a raggiungere il vero silenzio, non percepisci i rumori esterni, addirittura non percepisci il tuo stesso pensiero e allora arriva questa sensazione di completezza e senti Soham, il suono della vita.
Soham non è una parola appartenente a una lingua, è un suono onomatopeico, è la musica del nostro respiro. Tutti lo possono sentire se si calmano e si rilassano. Ci si siede in silenzio e si percepisce quel suono: “Soham, soham…” ecco il suono del respiro.
Se vi trovaste in una camera completamente insonorizzata da soli, state certi che rimarreste stupiti nel sentire quel suono, perché è sempre lì, ma noi siamo troppo distratti dalle cause esterne. In questo caso sarebbero state create le condizioni del silenzio in modo artificiale. Il modo naturale è quello di allenarsi a non percepire il resto e concentrarsi solo sul respiro, questa è una forma di meditazione che mira a ricongiungerci con l’essenza della vita e tramite essa farci assaporare, anche solo per un attimo la comunione con il divino. Lo si può fare in tanti modi. Con la preghiera, con l’estasi dell’arte, con il ballo. Tutte le maniere cercano di escludere il mondo esterno per concentrarsi su quello interno e trovare lì quello qualche certezza che non conosciamo o che abbiamo perduto.
Il respiro o il sangue che scorre nelle vene rappresentano il flusso della vita, dell’energia vitale, ci fanno avvicinare sempre più al Reale: “Soham, io sono Quello”.
Il tamburo: lo strumento del cuore!
Con il tamburo, Osho ci riporta a quella sorgente primitiva vitale senza la quale non siamo più uomini, ma solo macchine senza cuore. In questo caso il ritmo, rappresentato dal tamburo, è la componente musicale più arcaica, che si riconduce ad un’energia fondamentale per noi umini, che deve rimanere sempre presente, per simbleggiare l’importanza della semplicità nell’approccio con le cose.
Vi siete mai chiesti qual’è stato il primo strumento musicale?
La certezza assoluta non c’è, ma è probabile si tratti di un tamburo, oppure uno strumento similare (ad es. un tronco d’albero incavato) per produrre ritmo.
Detto così sembra quasi banale, infatti è presumibile che si sia sviluppata prima la componente ritmica di quella melodica, data la sua maggiore semplicità e immediatezza, ma se ci pensiamo bene, c’è di più.
Il primi sensi che si sviluppano in un bambino nel ventre materno sono il tatto e l’udito, questo è logico, perché gli altri sensi non servono in quel luogo. Il feto che cresce non deve fare nulla, la madre respira per lui e lo nutre. Dall’esterno arrivano stimoli uditivi, ma una cosa è sempre presente e costante per tutti i nove mesi della gestazione: il battito del cuore della mamma.
Questo ritmo si radica profondamente nell’essere del bambino. Quando poi nasce, il sistema mentale e quello corporeo portano con sé il ricordo di quel battito, e le madri lo sanno bene, infatti per farlo addormentare lo avvicinano al petto e quindi al cuore, e lui si tranquillizza.
Il cuore continua ad avere un suo richiamo, anche da grandi, se si soffre d’insonnia, basta ascoltare un orologio con un ticchettio “umano”, come quelli a pendolo di un tempo, meglio se non è metallico come quelli moderni. Con quell’atmosfera ci si ritrova inconsciamente nell’utero e si può riposare con tranquillità.
Ecco da dove deriva il tamburo, il ritmo primitivo a cui non si può resistere. Se chi lo suona è bravo, le gambe si muoveranno da sole, sarà impossibile restare indifferenti. Non è sofisticato, ma piace a tutti perché arriva nel cuore immediatamente, non è filtrato da nulla.
Tutte le culture primitive hanno il ritmo dei tamburi nella loro tradizione, vi accompagnano le loro danze, scandiscono il ritmo delle attività quotidiane. Il ritmo è interculturale al massimo, tutti lo possono capire, anche i ritmi più complicati non sono indifferenti a nessuno. Se provate a fare ascoltare a una persona non preparata una melodia dodecafonica troverete difficoltà, mentre con un ritmo di 21/8 delle danze bulgare non vi sono problemi, è molto più comprensibile.
Il tamburo ha anche un approccio molto semplice, chiunque lo può suonare. Anzi tutti lo fanno, quando picchiettano sul tavolo con le dita. E’ molto naturale, ci riporta indietro di diecimila anni, sotto le stelle in una foresta.
Se un uomo non risponde al tamburo, è diventato di plastica, ha perso il cuore a causa delle artificialità del mondo moderno. E’ morto purtroppo!
Musica e natura
E’ nata prima la musica o l’uomo? Con questa domanda Osho vuole riportare l’attenzione su una realtà paradossale, cioè sul fatto che la musica è qualcosa di ancor più antico dell’uomo stesso, e che perciò esiste anche indipendentemente da esso. Infatti la musica intesa come organizzazione di suoni nel tempo esiste in Natura, e la sua genesi è simile alla stessa origine umana.
Prendiamo le percussioni, come ad esempio il tamburo. E’ uno strumento essenzialmente ritmico, perciò potrebbe essere ispirato a molte cose della natura, come le gocce di pioggia che cadono a terra, oppure la grandine, oppure un sasso che rotola rimbalzando in discesa, o anche il battito più vicino a noi: il nostro cuore. Per questo non è dato sapere se è nato prima l’uomo e poi il tamburo oppure il contrario, perché quando il bambino non è ancora formato, il cuore della madre pulsa già.
“L’uomo viene dal cielo e il tamburo viene dal cielo”. Questa frase contiene un grande simbolismo.
Per molte culture antiche la musica è una chiave per le porte del cielo, poiché la sua origine è divina e in essa è contenuto un importante segreto. La filosofia, la religione, la scienza, vengono tutte dopo la musica, poiché essa è parte stessa della vita. E’ il fenomeno più primordiale: la brezza che passa tra gli alberi, il canto degli uccelli. Non esiste un uccello filosofo, ma tutti sono musicisti. I torrenti non sono preti, ma tutti sono musicali. I venti che passano tra gli alberi non conoscono la Bibbia o il Corano, ma fanno musica con le foglie. Il Big Bang stesso è un suono che ancora si può captare nell’universo.
La musica è celeste, è vasta e naturale. Questo basta per dire che c’era prima dell’uomo e ci sarà anche dopo.
La musica è acqua per la vita
La musica è un’atmosfera in cui tutto può fiorire. Osho la lega direttamente alla religione, sottolineando come la religione ha un profondo bisogno della musica per svilupparsi e crescere nell’uomo, attreverso la preghiera e la meditazione. La religione che nega questa diretta connessione tra spirito e musica, va contro Natura.
La meditazione e la preghiera dovrebbero essere musicali, tutto l’essere dovrebbe diventare musicale col tempo. Diventando profondi quanto lo è la musica, si entra in essa ed essa entra in noi, in una sorta di comunione, per questo la vera religione dovrebbe dare un grande risalto alla musica e includerla nelle proprie pratiche.
Esistono però religioni che hanno fortemente osteggiato la musica, vedendola come un divertimento effimero e lontano dal rapporto di riverenza che esse intendono instaurare con la propria divinità. L’Islam, ad esempio, oppure il Cattolicesimo in passato.
Riguardo al mondo mussulmano, la musica è stata rivitalizzata dal fenomeno del sufismo. Per questo i Sufi furono fortemente osteggiati dai fondamentalisti islamici: fecero rivivere la musica dopo che l’Islam l’aveva negata completamente. Essi hanno inserito la danza e la musica a pieno titolo nelle loro pratiche per avvicinare l’uomo a Dio, e i mussulmani sono stati feriti da questo, perché vi hanno visto un eccesso non conforme alla loro visione della religiosità. Hanno tentato in tutti i modi di ucciderli, ma non ce l’hanno fatta. Non solo, ma i Sufi sono diventati la vera anima dell’Islam, la religione essenziale, la sua fioritura.
Senza musica non può fiorire niente! Se il clima è austero, se non c’è armonia, è come voler far nascere una pianta nel deserto: non crescerà. Invece la musica è terreno fertile per la parte più profonda di noi, ci serve come serve l’acqua alla vita.Innaffiamo la nostra anima con musica allora! Qualcosa crescerà di sicuro.
Una storia sulla musica e l’amore raccontata da Osho
Data l’importanza della musica, ora occorre spostare l’attenzione sullo strumento musicale, che diventa per Osho una metafora della meditazione, cioè di qualcosa che non si può possedere ma che può essere un potente mezzo nelle mani di chi sà adoperarlo.
Una famiglia di un piccolo paese possedeva una vecchia chitarra che era nella loro abitazione da generazioni. Col passare del tempo, gli abitanti della casa avevano perso l’abitudine di suonarla e così era diventata un ingombro per loro. I bambini ci giocavano emettendo suoni fastidiosi, spesso gli animali domestici inciampavano contro di essa disturbando la tranquillità della gente, soprattutto la notte. A un certo punto si pensò che fosse divenuta un ingombro inutile, che doveva solo essere spolverata e niente più, e quindi si decise di disfarsi di questo strumento. Perciò la misero tra i rifiuti all’angolo della strada.
Passò di lì un mendicante e vedendo la chitarra iniziò a suonarla. La musica che ne usciva era così bella che si raccolse tutto il vicinato, persino quelli che l’avevano buttata via furono attratti. Erano tutti ipnotizzati, non potevano credere che da quel vecchio strumento potesse uscire una musica così meravigliosa. Allora le persone che avevano posseduto la chitarra per tanto tempo dissero: “E’ nostra, ridaccela!”.
Il mendicante rispose: “La chitarra appartiene a chi è capace di suonarla. Non è qualcosa che si possa possedere. E’ amore. Se potete suonarla, suonatela, in questo caso è vostra. Se non la sapete suonare, è inutile essere possessivi, non vi appartiene. E’ mia, io la stavo aspettando e lei aspettava me. Adesso che siamo assieme nessuno può separarci. Se insistete la prenderete, ma sarà una chitarra morta ed io sarò un musicista morto. Tra noi due c’è una fusione, diventiamo uno stesso organismo. Io una metà e la chitarra è l’altra metà: assieme c’è musica, c’è amore e c’è vita”.
(articolo ispirato agli insegnamenti del maestro Osho e da “Tao: i tre tesori, volume III, Capitolo 10”)
La musica esprime l’inesprimibile
Come si può esprimere un’esperienza profonda? Ad esempio l’amore, oppure la sensazione di completezza e beatitudine che si raggiunge con la meditazione? Osho ci mostra come le parole in questo caso siano ben poca cosa.
Una gioia completa è indescrivibile, si può darne solo un’idea parziale spiegandola, però esiste un linguaggio che può riuscirci, o almeno arrivarci molto vicino. E’ la musica. Essa può rivelare l’inesprimibile, poiché non ha significato, parla direttamente al cuore di chi l’ascolta e ogni persona la può sentire a suo modo. Chissà che gioia hanno potuto provare i primi uomini che hanno espresso le proprie sensazioni attraverso la musica. Sicuramente sarà stata una rivelazione esaltante il capire che senza la parola si potesse esprimere anche di più. Qualcuno si chiederà come faccia la musica ad avere questo potere.
Si tratta di un insieme di qualità:
– Le doti fisiche del suono, che attraverso la vibrazione possono interagire con il nostro corpo materiale (vedi la Cimatica ad es.).
– Ci sono poi delle doti puramente psicologiche, che possono imitare il silenzio nella mente.
Il silenzio è importante, perché permette di concentrarsi senza distrazione e così arrivare ad avvertire cose che altrimenti non potrebbero essere rilevate. Questa è la meditazione. La musica è composta sì di suoni, ma anche di silenzi e pause tra un suono e l’altro. E’ per questo che è affine al silenzio, perché esso ne è una parte fondamentale.
Allora la musica, grazie alla sua assenza di significato, alla fisicità delle vibrazioni sonore e al contenuto di silenzio, è in grado di arrivare molto in profondità, come fosse una chiave per la nostra mente.
Il Re e il musicista
La presenza e la consapevolezza sono senz’altro concetti su cui Osho ha posto particolare attenzione nei suoi discorsi. In questa storia il maestro accosta lo svolgersi della musica, che è per definizione qualcosa estemporaneo, con l’importanza del “quì e ora”!
In un tempo lontano esisteva in India un Re che aveva una forte passione per la musica, tanto da non interrompere un concerto nemmeno a causa di un attacco degli inglesi. Alla sua corte si erano esibiti tutti i più importanti strumentisti del paese, tranne uno. Il motivo per cui non era mai stato invitato è che egli poneva condizioni troppo assurde per esibirsi: mentre suonava nessuno doveva muoversi. “Se qualcuno iniziasse a ballare e ondeggiare, gli si tagli immediatamente la testa!” Ecco come rispondeva a chi lo invitava per un concerto.
Il Re decise di accettare la condizione e predispose che gli spettatori ne fossero informati e che durante il concerto mille soldati stessero intorno a spada sguainata, per segnalare chiunque si sarebbe mosso, e in seguito fargli tagliare la testa. Nonostante ciò erano in diecimila i presenti, e dodici di loro si mossero. Per questo furono segnalati al Re. Alla fine del concerto il musicista chiese: “La mia condizione è stata rispettata?” “Certo” rispose il Re e continuò: “Ora cosa dobbiamo fare, spetta a te decidere. Devo fare tagliare le loro teste?”
Il musicista disse in seguito cose che lasciarono tutti stupiti: “Queste sono le sole persone degne di ascoltarmi. Lascia uscire tutta questa folla. Essi non mi ascoltavano, erano troppo intenti a salvarsi la vita. La musica non è cosa per loro. Lasciatemi con questi dodici e voi, siete le uniche persone che mi ascoltavano veramente.”Il commento del Re fu che era un modo strano per trovare i giusti spettatori. Ma il musicista disse: “E’ l’unica maniera per trovare le persone giuste. Per queste persone la musica ha un significato maggiore della loro stessa vita.”
Canto come meditazione e ricerca del vero
Accostare le parole per origine semantica era una delle tecniche dialettiche preferite di Osho, come ad esempio le parole meditazione e medico, che hanno la stessa radice etimologica.
La meditazione è una medicina per la “malattia” che comunemente chiamiamo “mente”, infatti, se ci pensate, medicina e meditazione hanno la stessa radice. La mente è una malattia nel senso che lavora in maniera meccanica ripercorrendo gli stessi schemi, più o meno coerenti ed eticamente corretti, inducendoci ad allontanarci dalla verità. Liberarsi dalla mente significa perciò dominarla ed essere liberi da schemi mentali mai congrui alla situazione che ci troviamo ad affrontare. Quando la mente scompare, rimane solo pura musica, musica celestiale, musica sacra.
Il canto possiede qualità che lo possono accostare alla meditazione e nella ricerca del vero:
Per prima cosa il canto è celebrazione. E’ rallegrarsi, ci dona gioia, non rinuncia e frustrazione.
In secondo luogo il canto è illogico, è astratto. Non è un argomento di discussione che può essere compreso attraverso la logica. E’ pura gioia senza una ragione, come il canto degli uccelli all’alba. La logica deve essere abbandonata, non perché è inutile, ma perché chi è sbilanciato verso la ragione, è troppo lontano dalla verità con il suo “essere”, perciò non può comprendere. La gioia è illogica, se ne cerchiamo la ragione la perderemo. Cantando o danzando, la logica diventa un peso inutile.
La terza qualità del canto è che fonda le proprie radici nel cuore. Nasce dall’amore. Il ricercatore del vero deve spostare il suo centro dalla mente al cuore. Chi è troppo logico può credere che l’amore sia pura follia. Ma è solo attraverso esso che possiamo avvicinarci a Dio.
La mente è come un disco vecchio
La mente, con tutti i suoi processi chimici che ormai cominciano a essere noti, viene paragonata da Osho a un nastro registrato, oppure ad un vecchio disco se preferite. Basta stimolare la zona giusta ed ecco che un particolare processo ha luogo e ripetendo l’esperimento avviene di nuovo nel medesimo modo.
Queste “musiche” registrate nella mente, spesso non sono adeguate e non dovrebbero essere ascoltate troppo. L’ideale sarebbe riuscire a distinguere i casi in cui sono efficaci e quelli in cui non lo sono. Per fare questo bisogna imparare a non identificarsi con la mente, ma rimanerne distaccati come un testimone, una specie di controllore.
All’inizio è sufficiente una piccola osservazione, rimanendo distaccati dai pensieri che scorrono nella mente, con la consapevolezza che in fondo non è altro che una cosa pre registrata, che non è realmente quello che siamo, ma solo un’interfaccia tra noi e la realtà. E’ un mezzo che dovremmo imparare a utilizzare meglio, in fondo.
Il pensiero può essere una cosa ormai inutile, ma continuando a identificarci con esso, lo si fa rivivere rinnovandolo continuamente. Osservandolo, come qualcosa che è solo il frutto di un processo chimico, piano piano perderà d’importanza e si sconnetterà da noi.
L’unico vero problema esistente è come disconnettersi dalla mente. Siccome però vi sono meccanismi subdoli che ci fanno tornare in situazioni problematiche, ci vuole molta attenzione e bisogna anche essere pronti a darsi una scossa quando ce ne accorgiamo. In quei momenti, l’ideale è dedicarsi a un’attività che permetta di scaricare l’energia in eccesso, come lo sport ad esempio. Nel frattempo si dovrebbe ripetersi: “Basta! Io ti conosco, non manipolarmi più!!!”
Lo so, per alcuni sembra strano, ma l’importante è mantenere il proprio equilibrio, anche se in un modo un po’ “teatrale”.
Osho: per capire la musica occorre orecchio!
Le storielle paradossali di Osho mettono spesso in evidenza come alcune volte si diano per scontati certi comportamenti, che però poi non si rivelano coerenti con il contesto e la situazione che abbiamo di fronte. Non tutti possono capire la bellezza della musica, poichè non tutti hanno gli stessi obiettivi e le stesse premesse. Perciò fortunati coloro che hanno orecchio per la musica giusta, perché oltre la musica, solo un passo più in là, si entra nel mondo della meditazione e del silenzio.
Un violinista era convinto di poter usare la sua arte per addomesticare gli animali della savana. Si mise dunque il violino sotto il braccio e viaggiò fin nel cuore della giungla africana, per dimostrarlo. Non appena si mise a suonare, la radura nella giungla si riempì di animali di ogni tipo. Uccelli, leoni, ippopotami, elefanti stavano tutti intorno a lui, ammaliati dalla sua musica.
D’un tratto un coccodrillo uscì strisciando dal fiume che scorreva nei pressi e in un sol boccone ingoiò il violinista. Gli altri animali erano infuriati: “Idiota! Perché l’hai fatto?” protestarono “Ci stavamo divertendo.” Il coccodrillo si guardò intorno perplesso e, portandosi le zampe alle orecchie, urlò: “Cosa?! Non sentooo!”
Tratto da: Osho, The Great Pilgrimage, cap. 18
Il maestro “musicale”
Concludo questo percorso su Osho, la musica e la meditazione con questa storia su un maestro e il suo accompagnatore musicale. Il tema è sempre quello delle parole, che non possono esprimere quanto invece può fare la musica o persino i gesti concreti che compiamo.
Esisteva un maestro indiano che si faceva sempre accompagnare da un musicista suo discepolo. Prima di ogni suo discorso il discepolo suonava per creare l’atmosfera giusta, al termine della musica il saggio parlava e quando smetteva di parlare di nuovo iniziava la musica. Il maestro si spiegava così: “Suona mio discepolo, in modo che chi è qui per ascoltarmi capisca quanto le parole sono impotenti. Io le devo usare solo perché voi non siete abbastanza consapevoli e non sapete che ci sono mezzi di comunicazione superiori”.
La vita del maestro si svolse perennemente in viaggio e il discepolo lo seguiva in tutta l’India, fino anche in Arabia, e lì, mentre viaggiava per arrivare a La Mecca, successe qualcosa di curioso.
Siccome era sera, si prepararono per dormire, ed entrambi misero i piedi rivolti a La Mecca. La fama del maestro era grande e perciò nessuno si aspettava questo comportamento. Si trattava di un grande insulto per i mussulmani, che sono molto sensibili a questa cosa. I sacerdoti accusarono il maestro indiano di offenderli e dissero che era un impostore se non sapeva nemmeno come doveva comportarsi in visita da loro.
Alle loro accuse il maestro indiano rispose: “ Non siate arrabbiati con me. Io ho un grave problema, perché in qualsiasi direzione tengo i piedi, essi sono sempre rivolti al divino, poiché non esiste niente al di fuori del divino. Non l’ho fatto apposta, ma se vi sentite offesi, allora potete muovere le mie gambe in qualsiasi direzione volete”.
Quando i sacerdoti mossero le gambe del maestro avvenne una magia, ovunque le muovevano, anche La Mecca le seguiva e si spostava all’orizzonte.
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